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Chiara Boni e gli abiti con l’impronta ambientale

Tre su sedici indicatori, quanto basta per certificare gli abiti di Chiara Boni La Petite Robe, marchio nato nel 2007, con il bollino europeo PEF, Product Environmental Footprint, prima azienda di moda italiana ad ottenerlo. Un risultato di grande soddisfazione «commerciale» ma anche personale, perché la stilista da sempre nella vita, anche politica, da assessore alla Regione Toscana, ha fatto della difesa ambientale un principio.

Measuring for a Sustainable Future è il nome di questo progetto realizzato con Eurojeresey, l’azienda tessile italiana, impegnata nella sostenibilità, che produce il tessuto sensitive usato dalla stilista.

Materiali traspiranti, indeformabili, elastici in ogni direzione e che non necessitano di stiratura, perfettamente a proprio agio sia nel mondo dell’active che, come nel caso della sinergia con Chiara Boni, in quello del ready-to-wear e della couture.
Sono state misurate le impronte ambientali di otto capi La Petite Robe: «Il processo di misurazione è stato possibile grazie alla tracciabilità della nostra produzione, che non va oltre il territorio toscano — ha spiegato la stilista —. I nostri capi possono essere lavati in acqua senza detergenti chimici e non stirati. rendendoci già piuttosto virtuosi. Ma sono state l’impronta idrica, energetica e il carbonio ad assicurarci la certificazione».  Per fare un esempio pratico, il Melania Dress, tra i più amati dalla clientela, impatta sull’ecosistema come 8 chili di pasta (impronta di carbonio), 13 litri di vino fermo (impronta idrica) e 54 chilometri percorsi in auto (impronta energetica). Testimonial del progetto è Cara Kennedy Cuomo, da tempo attivista della sostenibilità, presente alla sfilata a New York.