Piume naturali o sintetiche? La battaglia ecosostenibile nelle imbottiture

Piume naturali

Sneaker fatte con pelle ricavata dalla lavorazione degli scarti delle mele, borse di fibra di mango che sembra pelle, pellicce di poliestere riciclato da reti da pesca abbandonate negli oceani.

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Con i materiali alternativi a quelli derivati dagli animali oggi si può dar vita a un intero guardaroba, che si sta arricchendo sempre di più anche di piume e piumini “vegani”: c’è chi sperimenta il Pet riciclato, i fiocchi di cashmere, persino i fiori. Ma siamo sicuri che l’impatto sull’ambiente sia minore?

Oggi, sotto la lente sempre più attenta della sostenibilità, anche l’industria della produzione di piume destinate alla moda e all’arredamento è oggetto della domanda che già si pone per altri settori legati al mondo animale, come la produzione di pellicce e di lana.

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Al 1953 risale la fondazione dell’International Down & Feather Bureau: basato dapprima a Parigi e oggi in Austria, è un’associazione di produttori di piume da moda e arredamento, con 45 membri. Secondo un suo studio, le imbottiture naturali (da intendersi soprattutto come piume di oche e anatre) hanno un impatto ambientale maggiore dell’85-97% rispetto a quelle sintetiche, fatte perlopiù di derivati dal petrolio.

«Le imbottiture di poliestere hanno un impatto sul cambiamento climatico maggiore di 18 volte rispetto al piumino naturale - si legge -. Gli aspetti della produzione naturale che hanno un maggiore impatto sull’ambiente sono l’uso di energia negli allevamenti e di detergenti per la loro sanitizzazione».

Il piumino, inoltre, è del tutto biodegradabile, ed essendo un prodotto di scarto dell’industria alimentare ne sostiene la circolarità. «Inoltre, poiché le piume sono il miglior isolante naturale, donano anche quel calore sufficiente e necessario a non dover alzare troppo i termostati di notte, dunque hanno un impatto positivo sulle bollette». Per ogni oncia, circa 28 grammi, di piuma di alta qualità, ci sono infatti due milioni di microfilamenti che intrecciandosi fra loro danno vita a un reticolo isolante.

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La Cina primo produttore mondiale
Ora, va considerato un aspetto: secondo le statistiche dello stesso Bureau, almeno l’80% della produzione mondiale di piume viene dalla Cina, diretta conseguenza degli sconfinati allevamenti di oche e anatre, molto consumate nella cucina locale. Nel 2018 la Cina ha prodotto oltre 400mila tonnellate di piume, per un totale di 4 miliardi di dollari di export.Il resto della produzione globale viene soprattutto dall’Europa dell’Est. Ma dei 45 membri dell’International Bureau, solo uno è cinese, anche se si tratta della China Feather and Down Industrial Association, l’associazione di categoria.

Le necessarie, e numerose, certificazioni
Per garantire al consumatore che il piumino che sta per acquistare sia pieno di piume provenienti da animali allevati con rispetto e responsabilità, si sono dunque moltiplicate le certificazioni: una delle più note è la Responsible Down Standard, promossa dal 2014 da Textile Exchange, che si occupa della certificazione di piume di oche e anatre e nel 2017 (ultimo dato disponibile), ha coinvolto oltre 3.600 produttori. Sotto esame ci sono le condizioni di allevamento, le tecniche di spiumaggio (che deve essere fatto sempre su animali non in vita), la selezione e lavorazione delle piume.

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Le alternative: iniziamo dal riciclo
Esistono consumatori che per ragioni etiche, legate soprattutto allo sfruttamento commerciale degli animali, non vogliono indossarne. A loro disposizione al momento esistono due alternative: indossare capi con piume riciclate oppure con imbottiture sintetiche, magari derivate da plastica riciclata anch’essa.

Capofila della prima opzione è Re:Down, azienda con sede a Torrance, California, che raccoglie vecchi indumenti e imbottiture da arredamento in appositi bidoni, collocati soprattutto in Europa, e ne ricava da una parte piumini nuovi, dall’altra trasforma i tessuti in pannelli per l’isolamento acustico. Anche il processo produttivo è sostenibile: il lavaggio delle piume avviene con acqua bollente e sapone biodegradabile, acqua che poi viene depurata e reinmessa nel sistema idrico. L’impianto si alimenta con energia da fonti rinnovabili e le piume che non possono essere recuperate sono trasformate in ottimo fertilizzante.

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L’avanguardia delle imbottiture di cashmere e di seta
Se volessimo spingerci verso materiali ancora più alternativi, che magari siano sempre naturali, ma non legati in alcun modo all’uccisione di oche e anatre? Le proposte più interessanti vengono non tanto da start up, ma da aziende tessili che hanno oltre un secolo di vita: Saldarini, basata a Como dal 1882 e specializzata nella lavorazione della seta, guidata ora dalla quinta generazione rappresentata da Francesco e Laurence Saldarini, ha lanciato un nuovo tipo di imbottitura per abbigliamento fatta di fiocchi di cashmere, - chiamata appunto Cashmere Flakes - derivati dalla pettinatura di capre allevate in Mongolia, usato già in capsule collection firmate da giovani talenti come Marco Rambaldi o Ujoh, e in vendita anche su Luisaviaroma.

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Il futurismo dei fiori
Arriva infine dagli Stati Uniti una nuova frontiera di ricerca sui materiali alternativi alle piume, condotta da Pangaia, collettivo di ricerca sui materiali (così si definisce), che ha messo a punto uno speciale filling, il Flower Down, fatto di petali di fiori selvatici essiccati e legati insieme da un biopolimero derivato da scarti vegetali. I piumini della loro collezione Flwrdwn sono anche interamente biodegradabili e se si approda nell’e-store dove sono in vendita appare un messaggio: «Così i fiori possono mantenere al caldo e gli animali mantenere le loro piume. Oggi avete una scelta». E qualunque essa sia, non prescinda dalla consapevolezza.

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  • Al 1953 risale la fondazione dell’International Down & Feather Bureau: basato dapprima a Parigi e oggi in Austria, è un’associazione di produttori di piume da moda e arredamento, con 45 membri. Secondo un suo studio, le imbottiture naturali (da intendersi soprattutto come piume di oche e anatre) hanno un impatto ambientale maggiore dell’85-97% rispetto a quelle sintetiche, fatte perlopiù di derivati dal petrolio.
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