L’arte della cosmesi nei secoli, perchè il bello non ha età

L’arte della cosmesi nei secoli, perchè il bello non ha età

L’arte della cosmesi nei secoli. Fin dall’antichità, l’uomo (e la donna) ha sempre cercato di migliorare il suo aspetto fisico e ogni epoca ha avuto i suoi canoni di bellezza. Questo avviene oggi ed è avvenuto nel passato, mutando di epoca in epoca i canoni di bellezza e gli ideali di ciò che era considerato raffinato, elegante o addirittura sublime.

Per gli Egizi, sinonimo di bellezza era rappresentato dalla forma dell’occhio che veniva allungato verso l’esterno per aprire lo sguardo con una specie di eyeliner.

Il trucco non aveva solo finalità estetiche, ma costituiva una protezione contro il sole e la polvere.

L’impasto era chiamato Kohl o il Mirwed, a seconda della composizione. Le sostanze usate erano: carbonato di rame, ottenuto dalla malachite, per il colore verde e la galena, ossia il solfuro di piombo, per il colore scuro. Le polveri venivano poi poi mescolate con acqua, grassi e resine.

I Greci e i Romani consideravano i migliori cosmetici quelli che provenivano dal Medio Oriente, per la qualità delle materie prime.

Per questi popoli, l’ossessione erano i capelli: nonostante la diffusione della tonalità scura, il biondo era più apprezzato. Per questo, usavano schiarirsi la tonalità dei capelli, utilizzando soda, sapone di olio e soluzioni alcaline provenienti dai Fenici. Per il colore, utilizzavano una miscela di polline, farina gialla e polvere d’oro. Non solo il colore. I Greci impararono a utilizzare un ferro per capelli in grado di creare i riccioli per ottenere acconciature complesse necessarie per distinguersi dai barbari del Nord, che portavano capelli corti e spettinati. Erano soliti utilizzare pettini in osso, bronzo o avorio, spesso riccamente decorati, e, ovviamente, il ferro per arricciare. I Romani, inoltre, ricercavano spasmodicamente prodotti che rendessero la pelle chiara, simbolo di bellezza e nobiltà. Così si diffuse il bianco di piombo, un pigmento pittorico, e l’usanza di abbellirsi con i colori usati per dipingere resta in uso fino al Barocco.

Nel Medioevo l’ideale di bellezza cambiò: la donna per essere perfetta doveva avere i capelli chiari, un viso tondo e roseo, la bocca piccola e gli occhi grandi.

La fronte doveva essere ampia e perciò si bruciavano i bulbi piliferi con un composto estremamente pericoloso fatto di calce viva e arsenico. Per dilatare gli occhi, ricorrevano a colliri ottenuti dalla pianta di belladonna (da qui l’epiteto) che dilatava le pupille. Un rimedio pericoloso perché la belladonna contiene atropina, che produce allucinazioni, confusione e intossicazioni.

Nel Barocco utilizzarono le prime maschere anti-age ottenute con impacchi di sublimato di mercurio, utile a cancellare le rughe nonostante gli effetti collaterali come l’annerimento dei denti.

Per le labbra veniva usato un misto di allume, gomma arabica e cocciniglia, chiamato fattibello, che bruciava la zona rendendola rossa. La cocciniglia talvolta veniva sostituita con il mercurio o lo zolfo, peggiorando ulteriormente l’effetto corrosivo.

Verso la seconda metà del XIX secolo il canone di bellezza mutò radicalmente: il corsetto doveva essere strettissimo per ridisegnare la vita, la pelle delle ragazze vittoriane doveva essere bianca pallida. Il sole era bandito: cappelli, velette e ombrellini erano d’obbligo durante le passeggiate. Per ottenere l’effetto pallore, si iniziò ad usare la polvere di zinco, antenato del fard. Gli ombretti contenevano polvere di piombo e solfuro di antimonio, per i rossetti invece, la base era il solfuro di mercurio.

Con la rivoluzione industriale e la scoperta di nuove sostanze si ebbe un’impennata nella produzione di lozioni ottenuti con la lavorazione delle materie chimiche. Ad esempio i prodotti cosmetici per il viso per l’eliminazione delle lentiggini, imperfezioni non gradite composti da mercurio. Solo nel 1970 i prodotti cosmetici a base di mercurio furono banditi dalla cosmesi. Un’invenzione del 1900 è il mascara, composto originariamente da catrame di carbone, il “Lash Lure”, altamente tossico, che provocava cecità e, nei casi estremi, addirittura la morte. Dopo aver riconosciuto diversi casi sospetti di decesso, ne venne vietata la vendita nel 1940.