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Federica, le ragazze degli anni ’70 e le aspettative in fatto di uomini

La notizia della fine della storia d’amore ultra-decennale di una conoscente, iniziata in modo decisamente romantico e finita nel modo più banale, mi ricorda che noi ragazze degli anni ’70 siamo cresciute con aspettative altissime in fatto di uomini.

Georgie, contesa dai fratellastri Arthur e Abel, innamorata di Lowell, che Georgie abbandona pur di salvargli la vita, per cedere, infine, all’amore di quello che, per tanti anni, aveva creduto essere suo fratello.

Candy, la ragazzina tutta lentiggini che, uscita dalla rassicurante casa di Pony, passa a un ben più allettante confronto amoroso tra il premuroso e sfortunato Antony e il tenebroso e anticonformista Terence.

Siamo uscite tutte un po’ illuse da quegli amori avvincenti e travagliati, convinte, però, che l’amore vero raccontato nei manga giapponesi spetti a ogni ragazzina che abbia trascorso almeno due stagioni a guardare queste serie tv.

Cresciute, abbiamo passato le serate a essere le fidanzate di Dylan – quelle che si innamoravano del bello e tenebroso- e di Brandon – quelle che si innamoravano del bravo ragazzo- guardando in religioso silenzio le puntate di Beverly Hills.

Probabilmente, mi ero talmente immedesimata nella parte di Brenda, da farmi tagliare da mia madre, con le forbici da cucina, una frangetta talmente corta da avermi fatto capire che, no, non sarei mai stata Brenda e che, no, non avrei incontrato Dylan ma, al massimo, qualche amico che mi prendeva in giro per quella frangetta gonfia come un panettone.

Abbiamo creduto nell’amore che, addirittura, sopravvive alla morte, guardando, in Ghost, Sam che da un aldilà incerto sussurra a Molly “l’amore che hai dentro portalo con te”.

Abbiamo pensato che ciascuna di noi potesse essere “quella gran culo di Cenerentola”, vedendo Edward innamorarsi di Vivian in Pretty Woman.

Poi abbiamo messo i piedi nella vita reale e abbiamo scoperto che gli uomini non solo non tornano dall’aldilà per dichiararci il loro amore, ma non riescono nemmeno a centrare il water quando fanno pipì.

Abbiamo scoperto che non si arrampicano su una scala di sicurezza per venirci a riconquistare, ma a malapena mettono i calzini nella cesta dei panni sporchi.

Abbiamo scoperto che quel “finché morte non vi separi” può trasformarsi in un meno romantico “Jessico-calcetto” sul telefonino e che l’aereo privato per andare ingioiellate a una prima al teatro dell’opera è, al massimo, un ombrellone in quinta fila a Tortoreto dopo tre ore passate in fila sotto al traforo.

Abbiamo creduto così tanto nell’amore da restare in trepida attesa di un messaggio, anche quando abbiamo conquistato la cintura nera di casi umani nell’arco di un’estate e abbiamo sprecato cerette e messe in piega per uomini che, dopo una proposta di convivenza, ci hanno mollate, con un mutuo sulle spalle, dicendo “il problema sono io, non sei tu”.

Per fortuna, non va sempre così.

Ci sono ancora gli uomini che aprono la portiera della macchina, che ci versano l’acqua e vanno a fare la spesa.

Quelli che sanno mettere i pannolini all’infante urlante e che portano giù la spazzatura.

Quelli che, semplicemente, sanno amare.

Ne sono pieni i romanzi d’amore e ne è piena la vita.

Semplicemente, assistiamo al disfarsi di amori o presunti tali con molto più disincanto di quanto accadesse prima e, nonostante tutto, non smettiamo di credere che l’amore vero esista e possa avere le sembianze di qualcuno che viva tra le strade della nostra città e non solo nelle serie di Netflix.

Certo, la nostra generazione, figlia del boom economico degli anni ’50, dei genitori con il lavoro fisso, la casa di proprietà e un mese di vacanza al mare, ha dovuto fare i conti con mille cambiamenti sociali ed economici.  Passare dall’aspettativa di un lavoro da manager alla realtà di un call center che paga 2 euro l’ora, dalla casa di 150 mq con i mobili di noce al monolocale con gli armadi di Mondo Convenienza, dal “nella vita spenderò tutti i miei risparmi in viaggi”, al campeggio di Roseto per 6 notti al massimo non è stato facile, ma è stato certamente più facile del capire che non è servito dare il benservito al caso umano di turno se, là fuori, “poi, me ne restano mille“.

di Federica Meogrossi