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Federica, le amiche e le confessioni della “prima volta”

Seduta al tavolo di un bar con delle amiche, ascolto la conversazione di tre ragazzine che siedono al tavolo accanto al nostro.

Sono giovani, hanno quella leggerezza e quella disperazione che appartiene a quegli anni dell’adolescenza in cui tutto sembra possibile, in cui tutto sembra frangibile, in cui tutto sembra bello e terribile insieme.

Parlano della “prima volta”.

Una ragazza piange e, da madre, vorrei correre da lei e stringerla a me. Ogni donna ricorda la sua prima volta, che sia stata con l’uomo che ancora le dorme accanto o con lo sconosciuto di una sera.

Quella prima volta, matricola indelebile sul corpo e sul cuore, racconta tanto di noi, delle donne che siamo state e di quelle che siamo diventate.

Un amore romantico, una passione estiva, una sera in discoteca, un amore per sempre.

In quella prima volta giacciono infinite prime volte, perché quel giorno, bello o brutto che sia stato, ha tracciato un percorso, un cammino, un insieme di possibilità che abbiamo colto o abbiamo perso.

La ragazza ha smesso di piangere e le amiche le promettono una serata di divertimento.

Ridono e ride anche lei, gli occhi sporchi di mascara e di una vita che, in un momento tanto delicato, invece di una carezza, le ha dato un pugno.

Sei bella, bambina.

Hai una vita davanti e ancora un oceano di possibilità e di scelte da fare.

Ti guardo e sono tua madre. Ti guardo ridere mentre non vorresti ridere.

Ti auguro che quei segni sul cuore vadano via come il rimmel dagli occhi.

Ti auguro che, un giorno, qualcuno ti guarderà come meriti e non ti farà sentire come ti senti ora.

Ti auguro la tua seconda prima volta sia bella come desideravi tu e che quel giorno non scriva di te una storia sbagliata, una storia offesa che ti renderà più fragile e vulnerabile di quanto credo tu sia.

Ti sei alzata e la tua amica ti abbraccia.

Buona vita, bambina.

Sorridi e non crederci quando ti faranno credere che sei sbagliata.